21 Aprile 2018
Di
Federica Verona

PER UN’IDEA DI CAPITALE SOCIALE: IL RACCONTO DELLA QUINTA DELLE SETTE GIORNATE DI SUPER

Sabato 24 marzo ci siamo dati appuntamento alla Bocciofila Caccialanza, in via Padova, per un pomeriggio di riflessione sul capitale sociale che la città dal basso genera e reinveste nei quartieri di periferia di milano. Lo abbiamo fatto insieme ad alcune delle esperienze alcuni dei protagonisti delle esperienze documentate attraverso i tour di Super, attraverso un tavolo di lavoro facilitato da Rosanna Prevete - con l’aiuto di Nicla Dattomo - e stimolato da Roberto Covolo, fondatore del Laboratorio Ex Fadda.

A portare un prezioso contributo sono stati: Andrea Perini di Terzo Paesaggio, Andrea Capaldi di Mare culturale urbano, Cosimo De Monticelli del Birrificio La Ribalta, Mariella Bianchin di Architetti Senza Frontiere,  Domenico De Monte de La Scheggia, Antonio Augugliaro del Nuovo Armenia, Massimo Torsello del Mercatino Agricolo Biologico, Paolo Petrozzi di Baggio Bene Comune, Vincenzo della Comunità di Supporto all’Agricoltura Fontanini, Donatella Ronchi della associazione Ferrante Aporti Sammartini, Costantino Bongiorno di We Make, Giulia Capodieci di Base Milano.

 

La motivazione e gli effetti che generano le progettualità nei quartieri hanno davvero un “valore inestimabile”, ovvero non misurabile, non quantificabile? Oppure è possibile provare a lavorare su una idea di misurazione non convenzionale degli investimenti e delle risorse? Queste le domande con cui ci eravamo lasciati il 2 dicembre, nel pomeriggio in cui avevamo impostato i lavori del laboratorio, nella prima giornata presso la Casa della Carità. Le prime tracce della mappa concettuale che ne era emersa avevano messo in evidenza relazioni complesse fra la spinta verso la formalità, nella organizzazione interna dei soggetti, che si manifesta in una forte cultura del progetto, da un lato, e il bisogno di indipendenza, la rivendicazione di percorsi autonomi, la centralità della identità di ciascuna storia, dall’altro, in una valorizzazione dell’informalità come dimensione attraverso la quale “è possibile far succedere delle cose”. E avevano, inoltre, fatto emergere come approccio professionale e impegno politico fossero completamente bilanciati.

Il passo in avanti che abbiamo provato a fare sabato 24 marzo è stato determinato dall’isolare, all’interno del discorso, la variabile delle risorse: sia quelle maggiormente investite che quelle mancanti per realizzare a pieno la missione delle esperienze.  

Ne è emerso che le risorse più preziose le risorse più preziose, per la realizzazione delle progettualità, non sono solo o per prime quelle economiche, ma sono anche: le passioni e le convinzioni delle comunità intercettate, le relazioni e gli incontri umani, il tempo (anche quello solamente speso per prendere un caffè, salutare, perché il contatto diretto genera attivismo reale), le ritualità, la cura dei dettagl, il sogno (quello che fa trascurare quanto scarse siano le risorse rispetto alla enormità degli obiettivi..), l’energia fisica e mentale, la solidarietà, il mutualismo.

Soprattutto la fiducia. "Ma come si genera la fiducia? Quando chi dà le carte (che siano le istituzioni o gli operatori) condivide quello che ha, senza aspettarsi qualcosa in cambio; questo genera perdita di controllo sui processi da un lato ma fiducia e attivazione di risorse latenti dall’altro’’. Il mercato, continua Roberto Covolo, ‘’non basta, soprattutto nelle periferie intese in senso lato. Quindi è necessario lavorare molto sulla dimensione immateriale’’.

Infine, la trasparenza intesa come elemento di apertura verso le comunità e i portatori di interesse. ‘’Bisogna dire cosa si sta facendo, essere facilmente leggibili dall’esterno. In fondo è quello che chiediamo alle astronavi che atterrano sui nostri territori. Chi sei? Che vuoi fare? Ma siamo noi a dover attivare la partecipazione e narrarci con strumenti giusti e in modo sempre più profondi. Quindi la trasparenza sia in termini funzionali (sapersi raccontare avvicina gli altri) ma anche in termini etici: abbiamo il dovere di dichiarare gli obiettivi’ ’ ha sottolineato Costantino.

Di cosa hanno bisogno questi soggetti per realizzare a pieno l’economia sociale a base umana che stanno sperimentando? Hanno bisogno di una Pubblica Amministrazione più ‘’vicina’’ e  competente, aperta a farsi contaminare dai saperi e dalle competenze sviluppate da chi ogni giorno si occupa della città dal basso che eroga beni e servizi in maniera sussidiaria. Hanno bisogno di spazi fisici, che spesso restano inutilizzati invece di essere messi gratuitamente a disposizione della collettività. Hanno bisogno di sostegno finanziario e di formazione diretta e autopromossa, non intermediata da enti di informazione. Hanno bisogno di essere incentivati a creare modelli più solidali, che garantiscano la proprietà di beni e servizi a chi ne fruisce e che non siano - anch’essi - intermediati da soggetti che all’interno di filiere sociali trattengono valore per sé senza restituirne alcuno.

Qual è il valore di questo lavoro di raccolta di esperienze e istanze? Noi pensiamo che il valore di questo laboratorio non sia solo documentale ma abbia il compito di trasmettere e restituire alla città un racconto dinamico, che possa attivare nuove energie, in termini di supporto alle iniziative in essere e di incentivo a iniziative nuove. Un supporto che possa venire sia dal basso, nei quartieri, in maniera orizzontale, che dall’alto, da parte delle istituzioni, creando sempre di più una circolarità in termini di relazioni, conoscenza, redistribuzione di valore.

Cosa potrebbe costituire questo laboratorio? Una premessa per un “manifesto della città dal basso”, perchè ci siano politiche pubbliche ah hoc, perché si possa “alimentare la scena’’, perchè che ci siano nuovi soggetti che nascano, perchè si possano sperimentare e consolidare pratiche per agire dentro questo orizzonte di ‘’economie sociali a base umana”.

 

Testo Rosanna Prevete e Nicla Dattomo, Foto:Federica Verona

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