15 Febbraio 2018
Di
Federica Verona

La vita tra le case, dove "tra" significa spazi, socialità e abitanti

In attesa di "Risignificare", Il prossimo laboratorio de "Le 7 giornate di Super", vi raccontiamo cos'è successo al primo: "La vita tra le case" facilitato da Jacopo Lareno e Ambra Lombardi.  

Il laboratorio si sarebbe dovuto svolgere nello spazio A delle Quattro Corti di Stadera alle 14.30 di un sabato, freddo, ma fortunatamente molto soleggiato.

Al nostro arrivo però abbiamo capito che lo spazio, per un errore di prenotazione, era già occupato da una festa di compleanno organizzata da alcuni abitanti delle case Aler ristrutturate e gestite dalle cooperative Solidarnosc e Dar Casa di cui vi avevamo raccontato in uno dei nostri diari di viaggio che ci avrebbero ospitato. Lo spazio A nasce infatti per essere utilizzato come una stanza in più dagli abitanti, che vivono in case molto piccole. Così non ce la siamo sentita di rovinare il pomeriggio ad una classe di bambini festanti e ci siamo rifugiati nella sala riunioni di Dar Casa che avrebbe partecipato al laboratorio.

Abbiamo predisposto i tavoli, distribuito post.it, fogli, penne, cartoncini e abbiamo atteso che tutte le realtà iscritte arrivassero. Il sabato pomeriggio non è mai facile, ci sono i bambini, la famiglia, impegni lavorativi o anche semplicemente l’unico tempo libero a disposizione durante la settimana di lavoro. Per questo qualcuno si scusa ma non riesce a partecipare, chi lo fa è davvero motivato, però.

 

 

Pian piano sono arrivati i partecipanti: Roberta Bulgari e Paolo Pisani di Biblioshare che con Super abbiamo conosciuto a Rogoredo, Fabio Bedostri del Circolo dell’Ortica, Valentina Sachero de La casa ecologica, Jean Pierre Orrù della Casa della Carità,  Antonella Bruzzese del Politecnico di Milano e Assessore all’Urbanistica di Zona 3, Rossella Sacco di AEM, gestore sociale dell’esperienza di Via padova 36, Mariachiara Cela e Matilde Albertini di Dar Casa. Con noi anche Francesco Grandi di Fondazione Feltrinelli. Ospiti silenziosi, durante il pomeriggio di lavoro, Erika Mattarella e Stefano Laffi i nostri “testimoni privilegiati” con il compito di ascoltare quanto sarebbe emerso per provare a mettere in fila delle considerazioni la sera, in un intervento aperto al pubblico perchè il laboratorio con le realtà, invece, era a porte chiuse.

 

 

Il pomeriggio è stato intenso, si è lavorato molto a partire dalle basi del lavoro iniziato il 2 dicembre.  Una serie di esercizi, proposti da Jacopo e Ambra ai partecipanti sono stati la base per condurre la discussione della giornata e provocare dei temi. Il primo approccio è stato quello di chiedere ai partecipanti  cosa intendessero per “socialità” rispetto alla qualità e a quali caratteristiche e obiettivi dovrebbe avere un progetto per definirsi “sociale”.

Biblioshare così ha parlato dell’importanza di conoscersi e stabilire relazioni positive, Antonella Bruzzese ha integrato la loro definizione parlando di accessibilità, eterogeneità dei soggetti e di necessità di scambio tra esperienze. Francesco Grandi ha introdotto, invece, il tema dei conflitti tra chi non la pensa allo stesso modo, e della possibilità di creare nuovi immaginari, nuovi significati riguardo a cose, persone e relazioni dove non sia per forza necessario uno scambio monetario. Jaean Pierre de La Casa della Carità ha parlato di spazi di bellezza e di riappropriazione dei luoghi.

La discussione man mano da queste prime definizioni ha preso forma, guidata dagli stimoli di Jacopo che, in una sorta di crescendo continuo, faceva intervenire l’uno nel ragionamento dell’altro.  

Più in generale durante la giornata si è provato a ragionare su quel “tra”lo spazio e le case. E quel “Tra” è stato riempito di molti contenuti e molti significati, ma in particolare l'attenzione si fermava spesso su due temi: la comunità e gli spazi di socialità, non solo in senso fisico ma anche spazi immateriali.

E’ stata quindi costruita una mappa concettuale delle definizioni, dove insieme a Jacopo e Ambra si è provato a costruire un piccolo vocabolario. Cercando di riflettere a chi ci si rivolge, chi si include e come negli spazi di socialità, un tema molto centrale anche nelle politiche. Infine un gioco che guardava auto riflessivamente i progetti in atto delle realtà presenti dove è stato chiesto di individuare quali politiche li hanno supportati e permessi. Ogni partecipante ha così provato a ricostruirsi facendo un ragionamento sugli innesti, sui fattori abilitanti e di consolidamento che hanno fatto radicare il proprio progetto. L’intento è stato anche quello di stimolare i partecipanti, proprio perché, oltre a fare in modo che si confrontassero su temi a loro vicini e molto precisi, potessero apprendere anche un metodo di lavoro facendo parte di un processo riapplicabile.  

Una volta appese al muro le timeline, approfittando dell'unica pausa concessa ai partecipanti, abbiamo alzato i tavoli facendo spazio e disponendo le sedie per ascoltare gli interventi di Erika Mattarella e Stefano Laffi. Un po' di pubblico da fuori è arrivato, nonostante il sabato, il freddo e la distanza.

 

 

Erika Mattarella è direttrice dei Bagni Pubblici di Torino, un luogo che ha ancora le docce pubbliche e che è nato negli anni 50, quando nelle case di ballatoio non c’erano i bagni privati, e chiuso negli anni 80. Nel 2006 Torino i bagni li ha riaperti perchè era aumentata la povertà oltre che era tempo di Olimpiadi. La loro cooperativa sociale ha vinto il bando per caso, perchè è andato deserto due volte. Ci spiega Erika che Barriera di Milano è un quartiere di immigrati, quindi complesso. Una volta aperto hanno dovuto avere molte attenzioni sanitarie, ovviamente, e hanno deciso da subito di fare piccole iniziative di socialità e aggregazione perchè avevano paura che il territorio non vivesse bene quello spazio. Proprio perchè spesso al disagio si associa il degrado e quindi serviva un lavoro di “aggancio” dei cittadini spiegando loro che la Cooperativa era un presidio, facendo un lavoro di normalizzazione e informazione. Nel 2007 hanno aderito subito alla festa dei vicini di casa organizzando un pranzo conviviale in mezzo alla strada. La festa è stata un successo dove sono arrivate 200 persone. In seguito hanno chiesto ad alcuni soggetti torinesi del mondo dell’arte di dare una mano per costruire azioni culturali. Ma alla parola “bagni pubblici” c’erano sempre dei timori. Così alla fine lo hanno fatto loro, cercando cittadini che fossero in grado di fare delle mostre, avere delle idee. Così sono stati i singoli e non le associazioni a modificare quel luogo culturalmente. Erika prima di salutarci per tornare nella sua Torino, ci dice che la cosa vincente, per loro e fondamentale è cercare di non essere in competizione con nessuno, perchè è solo così che si attiva la costruzione di un sistema.

 

 

Poi ha preso la parola Stefano Laffi che con lo sguardo di sociologo ci dice subito che c’è un indicatore importante sulla chiave di comunità: "quante persone saluti tra quelle che incontri quando esci di casa è indicatore di come ti trovi nel quartiere". L’uomo è un animale sociale, si è detto durante la giornata, e se questo fosse vero, dice, uscendo di casa tutti dovrebbero salutarsi. Ma se per tutta la giornata, durante il laboratorio, abbiamo parlato di come costruire socialità c’è qualcosa che non quadra. Per questo è importante attivare una riflessione rispetto al fatto che sia importante capire “cosa” succede dentro alle case e come le persone si affacciano nello spazio pubblico. Facendo i conti con un incubatore di paure, diffidenza, sfiducia di quello che accade nello spazio pubblico. Un incubatore che non deriva dallo spazio in sè ma dalla rappresentazione che si fa ognuno nella propria vita. Ad esempio guardando google che, dice Stefano, è il distruttore della comunità "perchè ti rimanda a quelli che la pensano come te: se digiti paura, ad esempio, svilupperai quel sentimento".

 

Dentro alle vite delle persone ci sono tante questioni: fatiche, solitudini, che dicono molto di come le persone si presentano nello spazio pubblico perché alla fine dobbiamo davvero interrogarci molto su come sono le persone. Così è diventato normale fare fatica a ricostruire legami in uno spazio che dovrebbe produrre spontaneamente socialità ma sconta l’incubazione della solitudie. Dove peraltro è importante fare i conti con le forme del capitalismo contemporaneo (anche se non è stato il tema della giornata)  e dei meccanismi forti che stanno dietro ai processi dove chi abita si affaccia da solo. Il lavoro della vita tra le case, quindi, è controculturale ma fondamentale. “Sii te stesso” è uno dei messaggi più corrosivi che ci possano essere ed è un messaggio diverso da “conosci te stesso” che invece preclude a un viaggio verso la scoperta. Stefano ha concluso, prima di rispondere a tante domande del pubblico, ricordandoci che serve lavorare molto sull’abbassamento della soglia culturale che si costruisce individualmente. Dove avvengono fortezze di solitudine e dove si costruisce la perfezione dell’essere se stessi. Ma allora come avviene la socialità come attivarla in un modo semplice? Bisogna indovinare cosa metterci in mezzo, cosa inserire in quel “tra”, bisogna  in sostanza, promuovere la creazione di medium. Può essere una seconda chances, la vita tra le case, perchè può essere uno spazio di riscatto dove fare incontrare le persone. Attraverso i libri, i corsi di zumba, le biblioteche degli attrezzi, dove creare spazi gioco, una sorta di grande biblioteca di cose da attivare per far si che le persone si incontrino e si sblocchi l’isolamento dietro al quale si nascondono.

 

 

Un piccolo aperitivo e due chiacchiere hanno chiuso il pomeriggio di lavoro, per noi di Super, davvero molto arricchente. Per questo ringraziamo le realtà e le persone che sabato hanno dedicato del tempo a discutere con noi di quello che potremmo fare domani.

 

Testo e immagini: Federica Verona

Qui il video dell'ultima parte:

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