10 Luglio 2016
Di
Federica Verona

Quando la cultura fa da base per: un quartiere popolare, un nuovo mercato, dei concerti diffusi e un luogo per l’arte

Giambellino, Lorenteggio

Premessa: Salone del mobile, qualche settimana prima in una Milano già in gran fermento, squilla il telefono di Super, dall’altra parte della cornetta virtuale lo studio Arcò. La proposta? un workshop con gli studenti di S.O.S (la scuola fondata da Mario Cucinella) a partire da un tour del nostro Festival delle periferie. Ci sembra una buona idea e decidiamo di deviare per una volta la nostra rotta, che solitamente si muove in moto antiorario ripartendo dal posto lasciato la volta prima, e decidiamo di fare una puntata al Giambellino. Certo, decidendo di ritornarci più avanti di nuovo, per incontrare le realtà che ci mancano. Così alle 11.00, puntuali, gli studenti del workshop si fanno trovare in panetteria, in Via Solari 40 accompagnati da Manuela che avrebbe organizzato i focus group all’interno del workshop i giorni successivi. Ad accoglierci Mario Gaeta. Ci si accomoda a cerchio all’interno di una stanza molto bella, con una vetrina fronte strada, si monta il cavalletto, la videocamera, si accendono i microfoni e Mario inizia il suo racconto fiume rapendoci tutti.

La prima cosa che ci dice, sorridendo, è “Solari 40 non è mica periferia! concordiamo, ma pur sempre è interessante la storia di un quartiere che fino a parecchi anni fa era comunque poco centrale e lontano dall’essere una delle zone più ambite di oggi. Ci racconta il ruolo importantissimo dell’Umanitaria che, all’epoca, era vista come un nucleo di “sovversivi, massoni socialisti, libertari”. Ma la Società’ Umanitaria in realtà agiva in maniera nuova e ancora attuale, se si pensa all’oggi, perchè si poneva il problema del lavoro, della formazione, della cultura e della casa operaia insieme. All’epoca l’Umanitaria costruì 15 palazzine in un anno tra Solari e Loreto. Ora, in epoca di tecnologie avanzate, per sistemare 4 palazzine servono due anni!

Le case operaie allora erano fatte per contenere anche il progetto della Società Umanitaria. Il progetto dell’emancipazione di chi abitava lì. All’interno del quartiere, infatti, c’è un corpo centrale della corte ovest con i lavatoi, dove c’era un grande salone che serviva al ritrovo degli abitanti per elevare la loro cultura, ci dice Mario, un luogo dove si facevano spettacoli teatrali, non un semplice ritrovo. Un luogo dove cultura, abitare e lavoro stavano insieme. E infatti il primo quartiere operaio Umanitaria è sempre stato abbastanza aperto e fruibile non solo dagli abitanti ma anche dal vicinato. La modernità di come sono state costruite quelle case è riconosciuta tutt’oggi. Se si pensa che in Solari 40 nel 1905 avevano il bagno in casa e solo le docce comuni! Venne fatta anche una biblioteca, e ancora c’è il locale, poi fu gestita dal Comune e poi abbandonata. Lì nacque anche la prima casa del fanciullo della Montessori. C’era una bocciofila, una cooperativa, con pizzeria e ristorante. C’era la società escursionistica e tante altre associazioni.

La partecipazione degli abitanti è sempre stata molto attiva. L’Umanitaria, ci spiega Mario, aveva al suo interno anche un tutore che doveva mensilmente fare un rapporto segnalando gli abitanti che non partecipavano alle attività. Gli chiediamo di raccontarci un po’ la storia. Ci dice che la prima associazione si costruisce tra il 1921/22 sfuggendo al fascismo. Quando l’Umanitaria esce distrutta dai bombardamenti, aveva deciso di alienare il patrimonio immobiliare. Ma gli abitanti vollero a tutti i costi costituirsi in cooperativa, con quote sociali, così gestirono gli immobili dal 1947 fino al 1987 quando il patrimonio è passato al Comune di Milano diventando ERP.

Mario viene dalla Fiom e per una serie di casi fortuiti finì ad abitare in 32 mq lì, in Solari 40, diventando socio della cooperativa e subito lo fecero entrare nel consiglio di amministrazione perchè molto motivati nel selezionare persone competenti e nuove. Dal 1987 caddero nel periodo più buio, perchè dopo anni di autogestione degli abitanti intervenne una amministrazione sorda e di gomma. Il Comune aveva proposto loro, di comprare le case dove abitavano,lasciando un paio d’anni di transizione alla cooperativa. Il gruppo si divise tra chi ci vedeva l’investimento e chi resisteva e non voleva perdere il valore umano raggiunto. Venne proposta l’ipotesi di costituire una cooperativa indivisa. Ma i più recalcitranti non lo permisero. Così passarono alla gestione pubblica, scontandone le regole. L’obiettivo però, che permane tutt’ora, è stato quello di non perdere le cose fatte nella storia. Così il Comitato ha agito difendendo la riqualificazione, la biblioteca, lo spazio dove abbiamo ascoltato quel sabato questa storia. Facciamo un giro con Mario, ci porta in giro per i cortili e arrivamo alla bocciofila che è in uso gratuito libero per abitanti e quartiere. Una porta aperta.

In generale gli spazi comuni vengono utilizzati dal gruppo anziani, dal gruppo genitori, Lib Lab libero laboratorio per i bimbi, stanno anche promuovendo un GAS e collaborano moltissimo con altre realtà Dynamoscopio, Connecting Cultures che avremmo visitato nel pomeriggio. Ci piace tenere dei fili tra una visita e l’altra. Ci piace capirne le intersezioni e approfondirle con domande. E in Via Solari 40 si percepisce in maniera forte un processo culturale lento avvenuto che ancora oggi porta i suoi frutti. Un processo che si è perso negli anni ma che dovrebbe essere ritrovato e lentamente fatto rigerminare in tutti i quartieri popolari in una formula ancora oggi molto attuale: cultura, casa, lavoro, socialità.

E’ tempo di raggiungere la seconda tappa, direzione, mercato comunale di Lorenteggio. Ci spostiamo a piedi segnando una lunga carovana, ci addentriamo tra le vie osservando come cambia il quartiere e tra i lavori della nuova metro ci spingiamo verso il villaggio dei Fiori. Entriamo al mercato dove abbiamo appuntamento con Jacopo Lareno una delle giovani menti di Dynamoscopio. Insieme a lui ad aspettarci c’è anche Alice. Ci fanno accomodare ai tavoli del mercato, e ci fanno provare un’esperienza unica.

Jacopo ci teneva molto al fatto che mangiassimo lì perchè, oltre che assaggiare la più buona carne di cavallo di Milano, famosa in tutta la città metropolitana perchè “Qui, il macellaio, ti fa le salsicce della granatura che vuoi” era anche un’occasione per conoscere da dentro un mondo che Dynamoscopio ha imparato ad amare quotidianamente coltivandosi i rapporti con tutti: produttori, rivenditori alimentari e abitanti del quartiere giovani e meno giovani che popolano il mercato tutti i giorni.

Dopo un meraviglioso e abbondante pranzo, ci raggiungono anche “i Distratti” e ci predisponiamo per l’intervista. Non prima di aver bevuto un caffè, davvero prezioso per tenerci svegli. Infatti, durante i tour, abbiamo capito che il "momento post prandiale è sempre a rischio pennica". Tanto che qualcuno sta costruendo un album inedito che prima o poi condivideremo con i nostri seguaci. Forse.

Scherzi a parte, ci sediamo in cerchio attorno ad Alice e Jacopo che si appollaiano in un seggiolino e ci raccontano com’è nata Dynamoscopio, una associazione culturale che ha sede in piazza Tirana ma che ha l’ufficio al mercato del Giambellino. Loro sono giovani e tutti universitari, a cui non interessava stare solo in Facoltà ad imparare da lontano ma volevano fare una “ricerca-azione” nel quartiere da cui provenivano, così hanno fatto un film: “Entroterra Giambellino” e poi un libro: “La tana del drago”. Sono entrati nel mercato perchè raccontavano il quartiere attraverso le pratiche di resilienza e la produzione di welfare e spazi di socialità dal basso. Il mercato stava per chiudere i commercianti lo sanno bene, dice Jacopo, ma nel 2012 doveva essere riappaltato ad un grande distributore commerciale perchè la produzione di prossimità non funzionava più, o almeno così diceva l’ amministrazione.

Cosi ci hanno provato, hanno provato a dire a voce alta che forse era vero che il mercato non rendeva più ma era pur sempre una piazza, la piazza di un quartiere vivo. Una risorsa. Jacopo ci spiega che non ci sono solo abitanti anziani ma una popolazione, tipicamente italiana che in quartiere risiede. E così hanno deciso insieme ai commercianti che poteva essere importante mantenere questo presidio in un quartiere sempre più svuotato di luoghi di comunicazione. E’ così iniziato un dialogo con le amministrazione e con il cambio di giunta è stato emesso un bando, su loro richiesta, che permettesse a un soggetto unico di gestire la struttura. Una struttura non ristrutturata dall’amministrazione da almeno 40 anni, peraltro. Così sono le forze del consorzio ad occuparsi della ristrutturazione oggi. Il mercato sta riprendendo vita, in parte grazie alla sua anima commerciale, ma anche con un’anima che Dynamoscopio sta cercando di costruire attraverso la produzione culturale, animando la dimensione aggregativa. Il consorzio è stato importante per i commercianti, da gestori sono diventati soggetto unico ed è più semplice oggi  gestire la struttura, loro hanno proposto che Il 10 % della superficie venisse dedicata ad attività culturali. Così una volta a settimana ci sono aperitivi e dj set, tutto il mercato diventa uno spazio sociale e si può girare ad assaggiare le specialità dei commercianti.

I ragazzi di Dynamoscopio ci colpiscono, hanno un approccio molto in linea con Super. Ci spiegano infatti che guardano la periferia come un patrimonio culturale e vivo, rifiutano approcci che guardano a una visione unicamente pedagogica della cultura verso la periferia e si rifiutano ideologicamente di assumere quella posizione. La periferia è fatta di culture che la abitano e vanno valorizzati i sistemi della cultura presente. Li chiamano processi di co-produzione culturale e per questo per loro è fondamentale lavorare con gli abitanti.

Dynamoscopio e i Distratti si conoscevano di nome ma non si conoscevano di persona. Siamo molto felici di essere noi ad aver creato la condizione di farli incontrare. Simone e Alessandro prendono il posto di Jacopo e Alice, che si spostano e si dispongono lì accanto per ascoltarli con attenzione. I Distratti, ci spiegano, sono una impresa culturale che si costituisce tre anni e mezzo fa in un periodo dove Milano era reduce da una serie di azioni che vedevano la chiusura di spazi che avevano rappresentato la produzione musicale e culturale di questa città. La loro attività riguarda la muscia e in quel momento vari punti di riferiemtno venivano a cadere. Questa per  loro è stata una spinta, una occasione da cui partire, perchè hanno iniziato a organizzare concerti in maniera estemporanea. Oggi organizzano moltissimi concerti in periferia, trovando i luoghi più disparati per creare i loro eventi.

In Ripamonti hanno gestito un circolo Arci in maniera continuativa. E hanno fatto un progetto con Esterni che si chiamava “Shhh”; da Bareggio a Solaro, poi, hanno fatto musica diffusa nei negozi, con gli artisti. Hanno lavorato in tanti posti diversi, ci dicono, ma la sede è a casa di uno di loro in Giambellino. Oggi collaborano molto con Base e in generale danno attenzione a tutti i generi musicali, partendo dall’organizzazione del piccolo festival fino ad essere dei veri promoter musicali, ad esempio hanno fatto suonare molte volte Levante, anche se ora non se la possono più permettere, ci dicono sorridendo. Ci raccontano che sono nati per gioco e per una passione comune, poi è diventata un rapporto continuativo con gli artisti e con altre realtà sparse per l’Italia come Roma Torino. Artisti che per loro hanno suonato 10 volte e magari dormivano nel loro divano e che oggi riempiono i palazzetti. Dopo anni di chiusura dei locali dove fare e ascoltare musica ci dicono che per fortuna nell’arco di questi anni le cose sono migliorate. Il cambio di giunta ha aiutato, una panacea di tutti i mali. Gli chiediamo come la giunta Pisapia abbia cambiato in meglio la situazione. Ci spiegano che è fondamentale uscire dal medioevo con agevolazioni anche per chi, come loro, fa promozione culturale di questo tipo. Lo sportello unico è stato fondamentale anche se c’è ancora moltissimo da fare in termini di semplificazione burocratica. Poi si respira un altro clima. E’ più bello fare queste attività anche se non è più facile. Ci dicono che la loro vera intenzione non è quella di fare cultura ma fare intrattenimento dal punto di vista artistico aiutando i musicisti a crescere  e farlo in maniera sparsa, nella città, alla fine accresce il senso culturale. Gli chiediamo :”ma voi cosa fate nella vita?” I Distratti a tempo pieno. Ci lasciamo con l’idea che i Distratti prima o poi organizzeranno un concerto al mercato di Lorenteggio insieme a Dynamoscopio.

E’ ora di spostarsi per l’ultima tappa e muoversi verso Connecting Cultures alle porte del parco agricolo sud. Per farlo prendiamo un tram, attraversiamo un ponte che ci fa vedere dei bellissimi orti dall’alto. Ci perdiamo affascinati da questo alternarsi di natura e infrastruttura e, sotto un sole finalmente tiepido e non fastidioso, lasciamo la città per entrare nella campagna.

Arriviamo in una corte di ghiaia, ci accoglie Patrizia con un caffè e dei biscotti. Lo spazio è una cascina ristrutturata e arredata con gusto e pienissima di libri. Dopo esserci rifocillati ci accomodiamo e Patrizia ci racconta come mai quel posto nasce proprio lì, ci spiega che è per volere di Annna Detheridge che, stanca di fare la giornalista, ha voluto fortemente promuovere una associazione culturale. Anna quel giorno non l’abbiamo incontrata perché reduce da una bella iniziativa, a cui ha partecipato anche Super, dal titolo: La città dei cittadini. Una tre giorni di incontri e tavoli. Patrizia ci spiega che Anna ha voluto far nascere Connecting Cultures in un contesto bucolico, nel 2005, alle spalle del parco sud dove si affacciano 60 comuni e dove ci sono cascine coltivate a riso. L’obiettivo? divulgare l’arte, come processo cuturale, a partire dai cittadini e dalle risorse del territorio. Il suo percorso, Connecting, lo ha iniziato con una mostra dedicata alla città dell’arte organizzata con Pistoletto. Un raduno di artisti che hanno dialogato con il pubblico spiegando cosa significa fare un progetto artistico per la collettività.

Il lavoro con pubblico e privato è una delle caratteristiche dell'associazione, e la forza è quella di continuare a fare progetti dedicati al territorio, non solo a Milano, utilizzando l’arte come mezzo di inclusione sociale, interculturale e comunciazione. Nel 2010 Connecting ha promosso Lost in Translation, per esempio, da cui è nato “arte patrimonio e diritti umani” patrocinato dal Mibac. Il tutto parte da un premio dedicato ad un artista under 35 che, una volta vinto, può realizzare un progetto per la collettività.

Uno tra questi è ad esempio un film girato a Cerignola dove l’artista ha analizzato il nuovo caporalato raccontando in maniera forte come i migranti, che lavorano nei campio, oggi subiscano quanto subivano gli italiani anni fa. Connecting non realizza progetti solo locali, quindi, ma territoriali a scala più ampia. Ha ormai costruito una fitta rete di artisti, performers, videomakers che fa lavorare con il territorio con cui si interfaccia. E poi spesso stimola dibattiti organizzando convegni, momenti di discussione e scambio. La biblioteca, poi, è assolutamente a disposizione di chi voglia passare lì del tempo a studiare l’arte.

Ci salutiamo dopo aver visto una iniziativa promossa da Connecting culutures e Museo Lab 6: un video di una lenta e divertente performance dal titolo “il Paradosso di Zenone” dove via Solari viene ripercorsa da un’astronauta (l’autrice della performance stessa) con assoluta lentezza alla scoperta della mobilità senza la frenesia. Un po’ come facciamo noi, con il festival lento, alla scoperta di realtà che non ti aspetteresti stare lì, in un tempo senza fretta dove pian piano intessiamo reti e curiosi, ci spingiamo un po’ più in là. In questa periferia che troviamo essere sempre più sorprendente.